Giulia Barbuzza nasce a Catania il 9 ottobre 1997, vive a Viagrande, un paese in provincia di Catania. Cresciuta all’insegna dell’arte, durante l’adolescenza si avvicina ad essa ulteriormente, scoprendo vari stili e frequentando corsi di diverso genere. Prosegue il suo percorso al liceo artistico statale Filippo Brunelleschi di Acireale, dove si diploma in grafica nel 2016; lo stesso anno scopre la sua passione per la scultura e decide di intraprendere il triennio di scultura presso l’Accademia di belle arti di Catania, che attualmente frequenta. Nel 2016 partecipa alla mostra “la follia come liberazione” presso il cortile Platamone di Catania e a cura di Maria Grazia Passaniti, docente dell’accademia di belle arti di Catania. Nel 2017 partecipa alla mostra Wondertime, puzzle project, presso orto botanico di Catania, coordinata dai professori dell’accademia di belle arti di Catania Leonardo Cumbo e Rossella Mammana. Osservando con passione l’anatomia dell’uomo, della natura in particolare le forme mutevoli del tessuto, ne trae ispirazione per le sue opere affrontando temi di attualità e problematiche personali.
Con TemporarYoung ha partecipato a: WonderTime 2018
Gli stereotipi descrivono una presunta realtà composta da comportamenti e modi di pensare a cui noi, fin da piccoli e durante tutto il corso della nostra vita, siamo fortemente sottoposti, a tal punto da credere che tutto ciò che ci viene imposto sia veritiero. Veniamo a contatto con essi, tramite varie fonti di preconcetti: dalle favole, alla letteratura arrivando perfino ai libri di scuola. Secondo studi scientifici, il nostro modo di percepire i corpi cambia a seconda del sesso, così un corpo maschile lo percepiremo nella sua interezza. Il corpo femminile, invece, viene percepito secondo un processo diverso, simile a quello che si ha nei confronti degli oggetti, ovvero, tendendo a concentrarsi solo sulle singole parti che lo compongono. È una pratica involontaria ed è come se fossimo educati da sempre a farlo. Dagli stereotipi alla violenza, il passo può sembrare immenso, ma in realtà esiste un nesso profondo tra i due, poiché i preconcetti si trovano alla base di tutte quelle discriminazioni a cui le donne sono obbligate socialmente a rispondere in prima persona. "Cosa indossavi?" È una domanda che la gente chiede sempre troppo spesso ai superstiti di una violenza sessuale, una questione nata attorno alla colpa della vittima e all'allusione che, forse, il superstite avrebbe potuto impedire l'aggressione indossando qualcosa di meno scollato, meno sensuale. Nella mia scultura, la donna è trasformata in tessuto, nell’oggetto che la distingue e la pregiudica. Camminando contro corrente, spogliandosi dei preconcetti, mettendosi a nudo, riporta la stoffa di cui è composta in corpo umano.